I cambiamenti epocali delle conoscenze ci terrorizzano. Ci buttano nello sgomento. E chi lotta per imporli, questi mutamenti, si ritrova puntualmente a combattere solitario alle Termopili contro migliaia e migliaia di Persiani.
In tal senso, la storia delle scienza e della medicina è punteggiata da infiniti esempi.
Il medico ungherese Ignác Semmelweis fu baciato nel 1847 da un’intuizione rivoluzionaria: capì che la tragica febbre puerperale (malattia che decimava letteralmente le puerpere) veniva trasmessa in seguito a qualche arcana contaminazione, mediata da “particelle cadaveriche” volatili, capaci di veicolare la patologia.
L'illuminazione scoccò nella sua testa semplicemente perché medici e studenti reduci dalle autopsie finivano subito dopo per visitare le partorienti. L’antidoto? Lavarsi le mani con l’ipoclorito di calcio, un potente disinfettante.
Ma l’immensa scoperta anziché suscitare plauso e ammirazione sollevò una marea di velenosi risentimenti da parte dei soloni della medicina. “Che cooosa? I medici stessi possono essere degli untori? Ma questo è un sacrilegio!”. E il geniale dottore, stanco, deluso e depresso, morì miseramente in un ospedale psichiatrico di Vienna (stroncato per giunta da un’infezione ─ che tremenda nemesi! ─ generata dalle lesioni perpetrate dai secondini). Ferdinand von Hebra, amico di Semmelweis scrisse: «Quando qualcuno scriverà la storia degli errori umani, ne troverà pochi più gravi di quello commesso dalla scienza nei confronti di Semmelweis».
A Louis Pasteur andò meglio, ma all’inizio anche la sua “teoria dei germi” fu bollata dagli accademici dell’epoca come… una ridicola fiction.
Il cammino della scienza medica verte su grandi e folgoranti pensieri, non sempre accolti a braccia aperte. E il dottor Ottavio Davini, medico ospedaliero e radiologo, già al timone della Direzione sanitaria alle Molinette di Torino, ha provveduto a rievocarne una cinquantina in un illuminante libro: 50 grandi idee. Medicina (Edizioni dedalo).
Dalla scoperta dei raggi X a quella delle sostanze in grado di indurre l’anestesia, dai vaccini alla pillola anticoncezionale, dalle prime offensive farmacologiche contro i tumori all’impiego dell’insulina… Cinquanta magnifici traguardi che spesso hanno travolto la stessa comunità scientifica, incapace sulle prime di coglierne la loro trascinante rilevanza. Un’occasione preziosa per sbirciare dietro le quinte della ricerca bio-medicale e maturare, nel contempo, qualche sana riflessione sulle dinamiche bizzarre e imperscrutabili che governano la nostra società… Perché come recita l'incipit della Introduzione:
«Qualcuno ha scritto che la storia della medicina, con i suoi alti e bassi, la sua perpetua aspirazione alla verità e i suoi dolorosi insuccessi, è la vera essenza della storia dell'umanità».
E allora mi piace citare un ulteriore clamoroso caso, in tempi più recenti.
Nel 1972 il dottor Stanley Prusiner lavorava come neurologo all’università della California School of Medicine di San Francisco.
C’era, tra i malati da lui in cura, un uomo in preda a una sindrome clinica eclatante. Prusiner, inerme, lo vide progressivamente consumarsi e spegnersi nel blackout di una annichilente demenza. Il killer si chiamava malattia di Creutzfeldt-Jakob. A una manciata di nozioni si limitavano le conoscenze di Prusiner riguardo al morbo in cui si era imbattuto. Desiderava saperne di più. Doveva saperne di più. Così decise di avventurarsi di persona negli anfratti di quell’oscura patologia, risoluto ad affibbiare un nome a chi aveva divorato il cervello del suo paziente. Lesse e spulciò tutti gli articoli che concernevano il tema delle encefalopatie spongiformi e dopo una serrata indagine giunse a individuare un agente patogeno assolutamente nuovo, diverso dai virus e dai batteri.
Lo chiamò prione: un acronimo che sta per «particella infettante di natura proteica». I prioni parevano proprio costituire un regno a parte in seno alla natura: erano non microrganismi veri e propri, ma figli della follia di un pezzo di DNA. Proteine mutanti, insomma. Capaci altresì – e qui risiedeva la sconcertante novità – di autoreplicarsi e di trasmettere l’infezione.
Ma com’era francamente possibile?
Un tipo davvero originale, quel Prusiner – sparlavano i colleghi –, anzi, diciamola tutta: un autentico eretico. Soltanto un “miscredente” poteva avanzare teorie così assurde sull’identità del colpevole delle encefalopatie spongiformi. Il suo pensiero era una pugnalata a tradimento alle leggi delle scienze biologiche. Eppure… nel 1997 venne consegnato proprio a lui il Premio Nobel per la Medicina, per la scoperta di questi agenti infettivi non convenzionali (che sono all’origine anche del famigerato “morbo della mucca pazza”).
Bisognerebbe ricordarsi più spesso che la parola «eresia» ha nobilissime radici. Deriva dalla lingua greca, dal vocabolo hairesis, e vuol dire: «fare la propria scelta».
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